giovedì 19 novembre 2020

Morton Feldman

 Questopostnonècomeglialtrilosievincedasubitononusospazinepunteggiaturauntestoailimitidellaleggibilitàvoglioprenderemenospaziopossibileperlasciaretuttoallamusicadiquestocompositoredicuinontratteròlabiografiamasololapoeticaequestomusicistasichiama

m                                  o                            r                             t                            o                              n

    f                          e                           l                        d                   m                    a                        n


 lo spazio

il tempo

cosa sono           questi due        parametri        nella      musica      ?

ascoltare è tempo dedicato alla musica, a meno che non si tratti di ascolto distratto, ma qui non si chiede uno sforzo concettuale, se pure al primo approccio può sembrare musica concettuale, non affannarsi a cercare melodie, anche se c'è melodia ma non è evidente, non affannarsi a cercare un ritmo su cui battere il piede, anche se c'è ritmo ma non è un ballabile, non affannarsi a cercare un testo che mi parli d'amore, anche se c'è amore, molto amore, tutto l'amore che c'è, ed è amore per il tempo.

Il tempo nasce libero, la musica divide il tempo, noi viviamo un altro tempo quando ascoltiamo della musica, ma la musica imbriglia il tempo, non facciamo esperienza del tempo così com'è.

1

ascoltare

                                                         questo

                                                                                                    brano

                                                                                                                                         per   

                                                                                                                                                           50

                                                                                                                                                                  secondi

poi fermatevi......e ricominciate quando ne avete voglia








     ora
potete
continuare
a
seguirmi
abbiate cura
del vostro
tempo
è
solo
vostro
e
di 
nessun
altro
Feldman 
vi
regala 
questo tempo

e disegna per voi dei suoni sulla trama dilatata del tempo. immaginate di disegnare una figura su di un tessuto elastico. questo tessuto viene tirato da ogni lato. il disegno si deforma. diviene irriconoscibile ma voi sapete cosa rappresentava. solo voi l'avete visto prima che si deformasse. lo ricostruite con l'immaginazione. che è diversa dal pensiero. nessun concetto. solo fantasia. 


se la musica fosse pittura Feldman disegnerebbe con una piuma usando tono su tono
no serialismo
il respiro di questa musica 
è evidente
a tutti



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fine
primo
tempo
inizio
0
tempo
finito
il
tempo

venerdì 13 novembre 2020

Rotte Atlantiche 2°episodio - Musica in America del Sud


Ora arriva la parte difficile del viaggio. 

Questo è il secondo post dedicato alla musica nelle colonie americane, che fa seguito al breve excursus sulle origini della musica in America del Nord pubblicato in questo blog.

Si è parlato delle colonne d'Ercole, dei canti dei padri pellegrini, dei primi compositori americani di nascita e dello sviluppo del music business. Si è volutamente evitato di parlare della musica afro-americana, sia per motivi tecnici (un solo post non basta) sia per motivi teorici/tecnici. Si, perché personalmente credo che sia impresa ardua trattare quest'argomento. La musica di origine africana nel New England e in generale negli Stati Uniti fino al XVIII secolo sembra prevalentemente bianca, almeno così viene descritta in alcuni testi di storia della musica Americana. Sono convinto di non aver scavato abbastanza e so che in altre trattazioni ci saranno maggiori riferimenti a come la musica degli schiavi provenienti dall'Africa abbia influenzato la produzione musicale nelle prime colonie Inglesi. Ma c'è una differenza che salta agli occhi osservando, anche se superficialmente, lo sviluppo e la storia invece della musica nelle colonie spagnole e portoghesi nel centro America, nel sud e nei Caraibi: la totale "mescidazione" delle tre macro-culture che sono venute in contatto a partire dal 1492, ovvero quella europea, quella degli Indios e quella africana. 

Nel New England e negli Stati Uniti del 1776 questo non sembra essere avvenuto. Gli Indiani d'America, i "pellerossa" per usare un termine da cowboy, non hanno posto nelle storia della musica americana.  I primi studi sulla cultura Indiana risalgono al 1880 con Theodore Baker, poco prima nel 1794 James Hewitt utilizza un tema Indiano nella sua Tammany. Lo stesso vale per la musica africana almeno fino alla seconda meta del 18° secolo, ed è solo nel 1819 che troviamo una delle prime attestazioni di musica spiritual.

Totalmente diverso è lo scenario del Sud. I motivi possono essere così riassunti:

- i primi conquistadores sono spronati dai Reyes Catolicos, Isabella e Ferdinando, che finanziano i viaggi di Colombo, nella evangelizzazione e conversione degli Indios. La Chiesa stessa incentiva e a volte impone questa missione

- la musica viene da subito utilizzata a questo scopo e si sa che qui cantat bis orat

- sulle navi spagnole e portoghesi non ci sono famiglie in fuga che cercano fortuna ma uomini soldati che hanno appena trovato la fortuna. Delle 550 persone a bordo del galeone comandato da Hernan Cortés solo 9 sono donne. Molti dei vari esploratori europei ricreano a volte veri e propri "harem" di donne indigene, famosa è appunto la storia di Malintzin, detta "La Malincha", amante e traduttrice di Cortés.

- l'opera dei missionari prima Domenicani e Francescani, poi soprattutto Gesuiti (fino alla loro espulsione nel  1767) è volta a convertire gli Indios e successivamente ad emanciparli e delle volte a difenderli dagli stessi Spagnoli

Gli Spagnoli con la spada e l'archibugio, i missionari con la croce ed il canto, si uniscono da subito con le popolazioni del Nuovo Mondo. E ricordiamoci che i primi spagnoli in Messico e nei Caraibi provengono per 1/3 dall'Andalusia. Una regione arcaica che porta con se un cattolicesimo arcaico, fortemente "mediterraneo" se così si può definire. Il culto dei Santi nella Spagna del XV secolo risente ancora gli echi del politeismo antico e si fonde perfettamente con le divinità panteistiche degli Aztechi dei Maya e degli Inca. I nomi delle divinità indigene vengono così sostituite con i "nostri" Santi e sulla croce viene affisso il simbolo, per esempio, del Sole (da cui probabilmente derivava già una parte dell'iconografia cristologica, ma questa è un altra storia).

È risaputo che l'arrivo degli Europei nel Nuovo Mondo ha prodotto una vera e propria ecatombe di uomini, donne e bambini. Il primo Olocausto della Storia Europea. I conquistadores ed in generale la Corona Spagnola non ha mostrato in questo nessuna cristianità, o meglio ha piegato il messaggio del Vangelo ai propri scopi. I teologi si sono a lungo domandati, nelle loro sontuose Abbazie, se gli Indios avessero o no un anima e di conseguenza se non fosse inutile tentare di convertirli. Sarebbe stata fatica sprecata ed allora hanno pensato bene di considerarli essere inferiori, primitivi, indegni del regno dei cieli ma sicuramente degni degli inferi perché questo avvenne, fu ricreato l'inferno in terra. Uno dei protagonisti di questa vera bolgia (ma potremmo dire "Borgia") infernale fu Papa Alessandro VI. Nella bolla Inter Caetera egli afferma che bisogna convertire tutti gli Indios anche a costo di usare la violenza. Figuriamoci come poterono reagire non solo i conquistadores ma i soldati, i gendarmi, i mozzi a questa demoniaca "concessione". La strage fu leggittimata!


Nella stessa bolla inoltre il Papa getta le basi per quello che sarà uno dei trattati più curiosi della storia. Il Trattato di Tordesillas (sancito da Giulio II) in cui, in breve, la Spagna ed il Portogallo tracciarono una bella linea (raya) ad ovest di Capo Verde e dissero: "a sinistra è tutto mio (Spagna) e a destra è tutto tuo (Portogallo)", come quando una lunga partita a risiko finisce con gli ultimi due partecipanti che per pigrizia la tagliano corta e si spartiscono il mondo.


Concordo con il prof. Barbero quando dice che il motto "la storia la fanno i vincitori" sia una stupidaggine. Se dovessimo accettarla la nostra visone sui fatti verrebbe immediatamente inquinata da questo preconcetto.

Anche perché la realtà, in fine, è molto più interessante e molto meno condizionata dai nostri giudizi di valore. E quindi scopriamo che la maggior parte degli Indios non morì per mano dell'esercito Spagnolo e Portoghese. A causa loro, ma non per mano loro. 

Furono soprattutto le malattie che portarono sull'orlo dell'estinzione le popolazioni native del centro e sud America, ed in alcuni casi ci riuscirono, come in alcune isole dei Caraibi. E pensare che una delle cose che rendeva "arretrati" gli Indios agli occhi degli "evoluti" Europei fu l'assenza della ruota! Quella che per noi è il simbolo stesso dell'evoluzione umana (da uomo primitivo a uomo moderno) in quella parte del mondo semplicemente non c'era. Il motivo anche qui è semplice: non essendoci animali da soma e terreni adatti a certi tipi di colture il carro trainato non ha ragion d'essere. La cosa curiosa è che gli animali, e qui facciamo un salto alla più recente attualità, quando entrano nella catena alimentare dell'uomo possono generare anche delle pandemie! Così i nostri cari asinelli, buoi, mucche e cavalli ci hanno messo in contatto, nei secoli, con migliaia di virus ed infezioni a cui, ovviamente, dall'altra parte del mondo non hanno saputo trovare alcun rimedio. Sono scomparsi così gli imperi d'oro dei Maya, degli Aztechi e degli Inca, questi ultimi scomparsi per il 90% nel giro di una decade.

Aggiungiamo in fine che l'arrivo degli europei fu visto da alcune tribù addirittura provvidenziale! Senza entrare sulla spinosa questione dei segni divinatori interpretati da Moctezuma, sappiamo però che gli Aztechi avevano da non molto colonizzato a loro volta parte del centro america, a discapito dei gruppi meno resistenti che furono spesso trucidati e sacrificati a Huitzilopochtli. Quando i capi tribù videro che gli Spagnoli nelle loro luccicanti corazze ingaggiarono furiose battaglie contro gli spietati Aztechi non ci pensarono due volte prima di allearsi al fianco di questi "alieni" venuti dal cielo. Agli Spagnoli non sembrava vero e ci misero poco, dopo la vittoria, ad assoggettare i loro stessi alleati. 

Il potere sostenuto anche da eventi fortunati è sempre visto come "benedetto" dal Signore e quindi buono e giusto.

Lo so! Anche qui vi chiederete...ma la musica?? 

Vi chiedo scusa, è che queste storie sono troppo interessanti per essere tralasciate ed ad ogni modo c'è già molta musica in tutto ciò. Riprendiamo il concetto iniziale di mescidazione. Dopo queste considerazioni possiamo intuire quanto diversa sia stata la nascita della musica cosiddetta "latino-americana" rispetto a quella a noi più familiare musica "americana". I nativi ebbero una enorme influenza sulla società, l'arte e la musica coloniale di questo territorio. Si può parlare di "sincretismo musicale" quando vengono introdotti gli strumenti a corde europei, come liuti, rebeche, violini, arpe e chitarre (sconosciuti nel continente americano ma in seguito dominanti, ad esempio, nella forma del Charango), insieme alle percussioni e gli idiofoni (principalmente marimbe) di origine africana. Forme musicali europee vengono adottate nelle colonie (Villancicos, Romances, Guarachos, Tonadillas, e danze quali Passacaglie, Minuetti, Jotas, Malaguenas e perfino Tarantelle). Alcune danze nascono "sull'Oceano", di passaggio tra Americhe e Europa, una fra tutte la Ciaccona, di cui scrive Cervantes ne La illustre fregona:

Nel ballo della Ciaccona sta il segreto della vita bona

Vengono adottati i complessi strumentali di flauti e percussioni sui modelli della marina Inglese.

Alcuni elementi sono marchi di fabbrica di questo sincretismo. Ad esempio la sesquialtera, anche detta hemiola, è una figurazione ritmica che contrappone, o giustappone, il ritmo di 3/4 con il 6/8. Per farvi capire pensate al famoso motivo di "west side story" di Leonard Bernstein in cui vengono accentati in maniera apparentemente irregolare le parole scritte in neretto qui di seguito:

I like to be in A-me ri - ca     Okay by me in A-me - ri - ca

con una scansione che potremmo scrivere numericamente come: 

1  2    3                  1   2    3            1  2           1  2           1  2 

ritmo diffusissimo in latino-America, ad esempio nel Son Jaroche Messicano, nello Jaropo Venezuelano, nella Polca Paraguayana, nella Cueca Cilena, nella Zamba e Chacarera Argentina.

Questo ritmo vivace apparteneva alla musica soprattuto profana dell'Europa del XIV e XV secolo al quale si aggiunse nel Nuovo Mondo l'energica carica ritmica africana. Senegal, Guinea, Costa d'Avorio, Ghana, Togo, Benin e Nigeria sulla costa Ovest e Gabon, Congo e Angola nella parte centrale sono le zone maggiormente condizionate dalla tratta degli schiavi diretta in in America. Di conseguenza la musica latino americana è (ancora oggi) influenzata da elementi di chiara derivazione africana, ed è:

- Fortemente sincopata: oltre alla sesquialtera abbiamo altri procedimenti come la più famosa clave ed i tresillo e cinquillo

- Bipartita con finale aperto

- Costituita spesso da brevi frasi ripetute in call-and-response (chiamata e risposta)

- Caratterizzata dall'uso delle percussioni

Nelle colonie l'organizzazione sociale era strettamente strutturata secondo le encomiendas, un sistema sociale-politico ed economico complesso che dava a grandi linee diritti di usufrutto dei territori in base la ricavato produttivo, e Vicereami che comprendevano spazi geografici enormi:

Nuova Spagna comprendente Messico, Caraibi e parte della California. Nuova Granada con Colombia, Ecuador e Venezuela. La Plata con Bolivia, Paraguay, Uruguay e Argentina. Vicereame del Perù con Perù e Cile. 

Il Brasile era sotto il dominio dei Portoghesi. Le Cattedrali ovviamente erano centri organizzativi che scandivano e organizzavano la vita comunitaria delle prime colonie fino alla nascita delle grandi metropoli che noi tutti conosciamo. La prima fu Santa Maria la Menor in Repubblica Dominicana, fondata nel 1514. Poi venne Santiago in Cuba (1522) e a seguire le Cattedrali a Città del Messico, a Puebla, Lima, Sucre e altre. Ognuna di queste ebbe un suo sviluppo musicale precipuo che è impossibile sintetizzare qui ma tutte hanno in comune alcune caratteristiche musicali:

- Vi si studiava e praticava il Canto Gregoriano (nella forma e nei modi Spagnoli e ovviamente Italiani dell'epoca)

- Si scriveva ed eseguiva musica Polifonica strettamente derivata dall'"epoca d'oro" della polifonia europea ma con, alle volte, sostanziali differenze 

- Si cantava musica di stampo "italiano" con l'uso della policoralità e delle varie forme derivate dal melodramma barocco e da tutta la musica teatrale tra XVII e XX secolo

Detto ciò ascoltiamola questa musica!

Iniziamo con Hernando Franco (1532-1585), spagnolo, che per motivi di riduzione di salario si trovò nella necessità di trovare un altro impiego. Andò così a ricoprire il ruolo di Maestro di Cappella nella cattedrale di Santiago de Guatemala (dove anche qui subì una riduzione salariale!) ed in seguito a Città del Messico dove rimase fino alla morte. Il "Franco Codex" dove sono raccolte molte delle sue composizioni viene considerato come uno dei "monumenti" della musica americana. Ma è nel "Valdes Codex" che troviamo due Inni alla Vergine attribuiti a Franco ma che con buona probabilità sono stati composti da un allievo Indios di Franco che, come era in uso, prese il suo nome. Questi inni sono scritti in lingua Nahuatl, la lingua parlata dagli Aztechi!          

              

La musica, si diceva, fu uno degli strumenti più potenti per evangelizzare le popolazioni indigene ed il sincretismo musicale risultante fu onnipresente in tutto il territorio. Testimonianze già nella prima decade del 1500 descrivono la facilità con cui gli Indios imparano ad eseguire i canti liturgici anche in polifonia. Dopo la metà del XVI secolo troviamo in diverse colonie molti cori formati da nativi. A prendere parte a questi corsi sono solitamente degli Indios di livelli sociali elevati, spesso figli dei vecchi capi dei nativi, ormai deposti. Nel 1540 il francescano Francisco de Gand scrive direttamente a Carlo V:

L'esperienza ha mostrato quanto grandemente gli indiani siano edificati dalla polifonia, e come siano appassionati dalla musica in generale; in verità, i padri che lavorano direttamente con loro e che ne raccolgono le confessioni ci dicono come, più che dalle prediche, gli indiani proprio dalla musica vengano convertiti

Certo, come abbiamo visto, non fu tutto così pacifico. Basta riportare un aneddoto in cui ad un missionario spagnolo, dopo aver spiegato e decantato le meraviglie del regno dei cieli che ci attende oltre la vita, l'Indios da convertire chiede: "ci sono Spagnoli in paradiso?", alla riposta positiva del frate la secca replica: "allora non voglio andarci!"

Indios cantano Inni cattolici

In ciò il film "Mission", di Roland Joffè -1986, dipinge un quadro veritiero della vita all'interno delle missioni anche se edulcorata a fini di intrattenimento. In particolare l'immagine di Padre Gabriel che suona l'oboe fra gli indigeni Guaranì è volutamente simbolica ma si basa su dati storici. 

Un altro compositore particolarmente rilevante in questa fase è Gaspar Fernandez (1566-1629). Portoghese, è il primo autore senza dubbi di attribuzione del Nuovo Mondo. Scrisse musica in latino ed in lingua vernacolare. A quest'ultimo ambito appartiene il suo corpus di polifonia vernacolare che comprende 250 Villancicos. Il Villancico è una forma musicale spagnola e portoghese, praticata già nel '400, di cui fu maestro Juan del Encina. Composta da strofe (coplas) e ritornelli (estrebillio) inizialmente trattava temi popolari e di amor cortese (come la "frottola" e la "chanson"), in seguito fu sottoposta ad un travestimento spirituale, anche detta in maniera pittoresca "vuelta a lo divino" e finì ad assomigliare alla Lauda italiana. Con il tempo venne assorbito anche nella stessa pratica liturgica.

In America Latina il Villancico è, come in Europa, polifonico, ternario, con uso di strumenti di rinforzo, percussivo e con temi testuali ottimistici. A differenza dell'Europa vengono praticate variazioni che prendono in prestito elementi musicali Indigeni, come i Villancicos de l'Indios, in lingua Nahuatl o Quetchua, ed elementi Africani, che tentano di imitare i dialetti e le musiche degli schiavi, come i Villancicos Guineo.

È questo il caso del brano di Fernandez Eso Rigor e' Repente il cui testo recita:

Sicuramente vi giuro che, sebbene il bambinello sia nato un pò bianco, siamo noi, tutti, i suoi fratelli. E anche se noi non siamo molto bianchi, suona il tamburello caro negro, canta fratello! [...] Suoniamo una Sarabanda, la più veloce e chiassosa! Questa notte anche noi saremo bianchi, e allora quanto rideremo!

            

Oltre al testo in cui gli schiavi vengono identificati con Gesù Bambino (anche qui viene in mente Lucio Dalla, come nel primo post!) non vi sembra particolarmente curioso che un portoghese alla fine del '500 sia così disinvolto nel mescolare alla musica appresa in patria andamenti e sentori ritmici e melodici così esotici? Vi assicuro che non era cosa comune. Il Villancico polifonico raggiunse il suo apice in Messico durante il periodo in cui operò Juan Gutierrez de Padilla il quale utilizzo i testi della famosa poetessa Sor Juana Ines de la Cruz, in cui vengono imitati i dialetti africani, come nel caso di A Siolo Flasiquiyo che segue la forma di el canario, in riferimento all'importanza delle Isole Canarie nella tratta degli schiavi nel 17° e 18° secolo. 

                 

Siamo a solo un secolo delle scoperta dell'America e la musica ha già assorbito elementi nuovissimi e si è spinta oltre i propri confini strutturali comunemente accettai. In questo brano tutti gli elementi compositivi possono essere ricondotti a tecniche "tradizionali"che però vengono esaltati e svincolati da usi rigorosi (per quanto un brano profano possa essere "rigoroso").  Un altro brano come Xicochi Conentzintle sempre di Gaspar Fernandes utilizza sempre la lingua Nahuatl per cantare in questo caso una bambina, e questa versione con cori di voci bianche credo renda bene la modalità esecutiva dell'epoca.
              
In lingua Quechua è invece l'inno anonimo Hanacpachap Cussicuinin che risulta essere il primo brano polifonico stampato nel nuovo mondo, composto prima del 1622.

In seguito iniziò a proliferare l'opera di numerosi musicisti nel centro e sud America che svilupparono un linguaggio in parte derivato dagli stilemi europei, soprattutto derivati da modelli "classici" in cui vengono fusi elementi autonomi come nel caso della "scuola andina" con Juan de Araujo che fu uno degli ultimi a comporre Villancicos in stile vernacolare.


O come nell'anonimo Sa qui turu zente pleta appartenente al manoscritto di Santa Cruz di Coimbra, in Portogallo, quindi non più nelle Americhe. Questa musica "sincretica" ha fatto ritorno in patria ed ha portato con se questo nuovo idioma mestizos.


Ed ecco arrivare gli onnipresenti italiani, il primo a ricoprire la carica di maestro di cappella fu Ignacio Jerusalem a Città del Messico nel 1749, anche se già nel 1717 operava in Argentina Domenico Zipoli, un personaggio molto particolare che si unì ad una compagnia di gesuiti in Spagna per portare il messaggio del vangelo, in forma "musicale", nel nuovo mondo. Scrisse addirittura un opera sul fondatore del movimento, Sant'Ignacio di Loyola, rinomato per i suoi "esercizi spirituali". In quest'opera parzialmente ricostruita Sant'Ignacio canta con voce da controtenore, come era in uso nel 18° secolo in mancanza di castrati, che comunque furono presenti, seppur in numero esiguo, anche nel Nuovo Mondo. Vi suggerisco questo passaggio in cui il Santo duetta con un angelo in moto tanto armonioso quanto, come dire, spaesante.


             
Non posso non far riferimento in questa breve sintesi della musica post-coloniale alla musica in Brasile ed al fenomeno del "mulattismo musicale". 
Sappiamo che una città come Bahia fu uno dei maggiori centri della tratta degli schiavi in Sud America, di conseguenza iniziarono ad operare numerosi musicisti neri. Luis Alvares Pinto, un mulatto, un pardo, inteso come persona di origine africane ed europee o africane e indigene, scrisse anche un trattato (Arte de Solfejar- 1761) che divenne il primo testo di questo genere scritto da un nativo del Nuovo Mondo. 
Mentre nel Nord America (vi ricordate il Reverendo Thomas Walter nel 1721?) erano esclusivamente bianchi (inglesi) a scrivere trattati e manuali, in Brasile abbiamo un mulatto. Il termine mulatto ha origini dispregiative, in un certo senso, perché fa riferimento al mulo, incrocio tra asino e cavallo, ma se vogliamo potremmo pensarlo come il simbolo della mescidazione, del sincretismo, del "mescolone" a cui tutti noi apparteniamo oggi e non faccio fatica ad immaginarci tutti dei muli, testardi e bastonati, caparbi ma frustrati, ma - usando un termine che poco mi sta a genio - "resilienti".
 

Poi avvenne l'incredibile evento di Minais Gerais, uno stato nel sud-est del Brasile dove vennero trovati enormi giacimenti di oro, argento e pietre preziose. Fino ad allora la musica in queste zone non aveva avuto lo stesso sviluppo del centro America, possiamo dire che era quasi assente. Ma dopo queste scoperte ci fù addirittura una legge emanata dal Re del Portogallo in cui si tentò di limitare l'emigrazione in massa che rischiò di spopolare il Portogallo. Un pò come la conquista del West ma in maniera molto più "mediterranea".
Quando si seppe di questi giacimenti migliaia di persone, europei, indios e soprattuto schiavi o ex-schiavi confluirono in queste regioni. La musica ovviamente ne giovò profondamente. Qui i musicisti furono anche liberi dal controllo della Chiesa e poterono fondarsi in Irmandade, fratellanze o corporazioni di musicisti che gestivano e ridistribuivano gli ingaggi e le commissioni musicali per feste ed eventi celebrativi di ogni sorta. Ah! Che luogo sarà stato! Musicisti e pubblico mescolati agli inizi di quello che sarà poi uno dei luoghi più complessi al mondo, con le musiche più incredibili del mondo, ed io credo che se c'è una musica a cui non si può opporre resistenza questa è proprio la musica brasiliana. 
Ci fu addirittura un movimento chiamato Arcadia Ultramarina! Vi rendete conto? L'Arcadia! Il fenomeno culturale più stravagante ed onirico della storia europea aveva una sua controparte dall'altra parte del mondo a ridosso della foresta amazzonica. Werner Herzog in Fitzcarraldo ha solo sfiorato con la fantasia quella che fu la realtà dei fatti. 
Ed arriviamo cosi a Rio de Janeiro, alla modinha, un tipo di canzone d'amore simile alla romanza francese, che ha carattere sillabico, sincopato e si canta in duo. Il ritmo è scandito sulla figura di semicroma-croma-semicroma, che si relaziona con la danza afro-brasiliana detta lundu, il quale a sua volta aprirà ala strada al samba!
E non si è parlato della Colombia, della Bolivia, della Jamaica, del Perù!

Abbiamo solo iniziato. 

Ed io qui finisco. 

Con una ninna nanna. Vi do la buona notte perché il viaggio è stato lungo e faticoso, ricomincerà, ma non ora, il vento non si ferma, le navi salperanno. Le vele issate si gonfieranno come polmoni prima di raccontare una lunga, lunghissima storia, come quei flauti andini che richiedono i polmoni di chi vive  in alta quota in assenza di ossigeno. 
I canti in spagnolo, i flauti indios e le percussioni africane del conjunto de gaitas, sottocoperta, nel lungo viaggio, non possono far altro che unirsi, anche se parlano lingue musicali diverse. Davanti alla paura del naufragio siamo tutti uguali, tutti fratelli e sorelle. 
Una volta scesi a terra torneremo ad ignorarci ma il viaggio dobbiamo farlo insieme, per cui leviamo le ancore che a terra ci siamo stati abbastanza! 

Svegliati negrito!