mercoledì 30 dicembre 2020

Paul Hindemith e mia Sorella

 Paul Hindemith nacque ad Hanau nel 1895. Visse la repubblica di Weimar, attraversò due guerre mondiali e durante la dittatura Nazista emigrò negli Stati Uniti. Da sempre accompagnato dalla moglie Gertrud visse una vita alimentata da una incessante attività artistica. Violinista precoce ma soprattutto violista. Compositore prolifico e padrone della tecnica compositiva. Direttore d'orchestra infaticabile. Fu uno dei principali promotori della "rinascita" della musica antica e della prassi esecutiva con strumenti d'epoca, lui stesso fu appassionato interprete sulla viola d'amore. Promotore di eventi e grande didatta, insegnò alla Yale University e in moltissime istituzioni da una sponda all'altra dell'Atlantico. Sperimentò le tecniche musicali più ermetiche ma fu sempre un amante delle formazioni musicali amatoriali, cori e bande di paese. Tentò a lungo di "riformare" il pubblico, ideando opere che richiedevano l'attiva partecipazione degli uditori.  Fine teorico, trattatista, scrittore di manuali e saggi sulla musica moderna, classica, antica. Pluri-premiato e riconosciuto come uno dei più importanti musicisti del '900.

...può bastare?

Forse no, perché altro ancora ci sarebbe da aggiungere. Io non credo di aver mai studiato un personaggio come Hindemith. Una vita perfettamente votata alla musica. Tutte le sue energie, tutta la sua creatività proiettate verso il futuro dell'arte dei suoni. Una costante ricerca della perfezione. Ambendo alle vette dell'armonia, dell'equilibrio, della bellezza estetica e morale. Come nel caso di Shostakovich ci viene da chiedere "chi sono i compositori?". Nel post sull'autore russo si è tentata una risposta "mistica". I compositori ci traghettano verso mondi astratti attraverso esperienze sonore multiformi. Ci permettono di trascendere la realtà, ci parlano con un linguaggio magico e - suono dopo suono - ci conducono al di là della vita quotidiana. 

Vale anche per Hindemith?

Non ho idea.

La sintetica presentazione che ho proposto come incipit è forse tutto ciò che ho da dire su di lui. Fatta eccezione per la mia solita postilla autobiografica: 

nella mia famiglia la prima musicista e studiosa di musica è stata mia sorella. Diplomata in flauto traverso mentre io giocavo con He-Man inondava la nostra casa di musica. Ricordo lo studio estenuante per ore, giorni e mesi. Bach l'ho conosciuto così! In verità quasi tutta la musica che conosco se non è venuta da mia sorella è stata filtrata dalla sua presenza. Intanto crescevo passando dagli Ah-Ah, a Michael Jackson, ai Queen per approdare finalmente ai Pink Floyd. In tutto ciò ovviamente sempre con mia sorella che una volta finito di saltare come una pazza su Liar se ne tornava in camera a soffiare in quello strano aggeggio che in mano mia era l'equivalente dell'osso brandito dalla scimmia nella scena di "2001. Odissea nello Spazio"!

Come spesso era solita fare, veniva da me con un disco o una cassetta e mi diceva "devi ascoltare questo..è bellissimo", e io quasi sempre ignoravo sulle prime il suggerimento, mostrandomi penosamente superiore ed in grado di scegliere autonomamente la musica migliore del mondo. Il CD rimaneva lì ed io lo scrutavo un pò incuriosito ed un pò spaventato, sempre come la scimmia di cui sopra..però questa volta nella scena del "monolite". Lasciavo passare qualche giorno e poi pensavo "mah! Ascoltiamolo, va! Diamoli qualche speranza, almeno la faccio contenta...non mi piacerà sicuro, ma è pur sempre mia sorella" (E già, l'adolescenza -o almeno la mia- è una fase buia della vita). Così mettevo su il CD, non con poche difficoltà visto che il nostro stereo ormai sfiancato dal mio utilizzo smoderato aveva tutta una serie di difettucci di funzionamento; ad esempio per far partire il lettore CD era necessario inserire, parzialmente, la linguetta del tappo di una penna stilografica (non Bic che aveva il tappo troppo bombato!) per far partire la rotazione.

Insomma metto il CD suggeritomi da mia sorella ed inizio ad ascoltare. Come volevasi dimostrare non mi piacque, c'erano un paio di cose interessanti in questo Jeff Buckley però tutto un pò noioso. A quel punto mettevo via il disco e  restava un altro mesetto parcheggiato lì, in camera mia...dopo di che lo rimettevo sù (stessa procedura) e pensavo che però, una o due canzoni non erano male. 

Due giorni dopo riascoltavo solo quelle due canzoni, belle! Sempre più belle! Stupende! E le riascoltavo in modo ossessivo, ancora ed ancora. Poi un giorno facevo andare tutto l'album..e pensavo che oh! Questo disco è fantastico, e dicevo a mia sorella, cercando di mascherare completamente l'entusiasmo per non darle soddisfazione "oh! Carino Jeff Buckley!". Passato un altro pò di tempo ci ritrovavamo ad ascoltare tutto l'album rapiti ed io, alla fine, ammettevo che si! Era un grande album e che inizialmente non gli avevo dato fiducia..ci è voluto un pò di tempo per ammetterlo, diciamo 40'anni però non mi biasimate...anche He-Man era figo!

E quindi disco dopo disco abbiamo scoperto tanta musica, cioè lei scopriva e io la seguivo, sempre con quel piglio un pò disinteressato tipico dei maschietti complessati. 

Quando i miei gusti musicali iniziarono a comprendere anche la musica "classica" (termine odioso) in alcuni casi ero io a chiedere consiglio a mia sorella oltre ad attingere a piene mani dalla raccolta di dischi di mio padre (vedi il post su Domenico Scarlatti). 

E così mia sorella con la sua ormai indefessa pazienza mi suggerì di ascoltare Paul Hindemith! Così prendo un CD, me lo porto a Roma dove ormai ero diventato un Universitario (eh! Ognuno ha i suoi tempi di apprendimento), e lo ascolto. Beh! Dire che al primo ascolto non ci ho capito una minchia può rendere bene l'idea di quanto fossi poco avvezzo a certe sonorità. È vero che nel caso della produzione Hindemithiana ci si può imbattere anche i brani leggeri e divertenti ma la maggior parte delle sue opere utilizzano un linguaggio ben strutturato sia armonicamente che melodicamente che si inserisce perfettamente nella tradizione musicale europea del sinfonismo, della forma sonata, del concerto e di altre forme derivate dall'800 e nel caso di Hindemith anche del '700 e del '600. Anche se la sua estetica era votata al superamento delle forme "romantiche".

Fatto sta che questa musica all'epoca non mi convinse. La sentivo dura, ostica, difficile e persino fastidiosa. Così ho messo da parte il disco che poteva essere Mathis Der Maler oppure della musica pianistica di cui non ricordo il nome. Per anni riprovai ad ascoltare altre opere di Hindemith ma l'effetto non cambiava. Così passarono anni. E Hindemith rimase lì, in attesa di essere compreso...da mè si intende, il resto del mondo lo comprendeva benissimo.

Così, viste le mi ultime velleità "musicologiche", ho pensato di leggere qualcosa sulla vita e le opere di questo compositore, da sempre presente nella mia vita ma anche assente. Ho trovato questo bel libro scritto a sei mani da Andres Briner, Dieter Rexroth e Giselher Schubert. Un libro asciutto e chiaro, completo e sintetico sulla vita e le opere del Maestro. Notizie biografiche vengono puntellate da brevi analisi delle maggiori opere del Maestro. 

Ma io comunque pensavo a mia sorella. Al segreto che custodiva ancora quella musica. Quindi cercai di scovarlo ripercorrendo la vita del musicista tedesco.

In sintesi Hindemith fu veramente una centrale nucleare di musica, non smise mai di fare musica, in tutti i modi possibili. Nel 1917 aveva 22 anni, dopo aver completato la partitura de I Tre Canti per soprano e grande orchestra op.9 fu chiamato sotto le armi. Fini a suonare la grancassa nella banda del reggimento il cui comandante era un amante della musica. Così potè suonare in quartetto durante la guerra, privatamente per il suddetto comandante, conte von Kielmannsegg. Hindemith ricorda che durante l'esecuzione del quartetto di Debussy.. 

..arrivati alla fine del "Movimento lento", un ufficiale incaricato del servizio informativo irruppe, sconvolto, nella stanza, comunicandoci che la radio aveva divulgato la notizia della morte di Debussy. Abbiamo subito smesso di suonare. Era come fosse stato tolto il respiro vitale alla nostra esecuzione [..] In quell'istante la musica oltrepassava i confini politici, l'odio tra i popoli e gli orrori della guerra. In nessuna occasione avevo compreso, con simile chiarezza, in quale direzione doveva evolversi la musica.

Il compositore inizia così la sua ricerca di una musica pura, finalizzata all'elevazione spirituale dell'uomo ma che affonda le sue radici nella conoscenza pratica, "artigianale", della tecnica compositiva. Il perfezionamento costante degli elementi costruttivi del suono e della forma complessiva dell'opera saranno i principali interessi della musica di Hindemith. A questa attività di perfezionamento tecnico va affiancata una totale disponibilità a diversi approcci e generi musicali:

- Musica "provocatoria" che affronta temi sociali difficili e problematici come nelle opere Mörder, Hoffnung Der Frauen, Nusch-Nisch e Sancta Susanna composti tra il 1919 ed il 1921, dove l'erotico, l'irrazionale, l'estasi irrompono sulle scene dei teatri d'Europa e che presto verranno criticati e poi censurati dalle forze politiche dell'epoca.

- Musica scritta appositamente per essere trasmessa dalla Radio, come nella Kammermusik n.7 o come  la Musica per strumenti meccanici del '26 o i Pezzi per Grammofono di quattro anni dopo. Oppure le composizioni per uno dei primi strumenti elettronici della storia: il Trautonium

- Musica di intrattenimento o con fini umoristici come lo straordinario Ragtime (ben temperato) del '21 o la spassosa Ouverture da "l'Olandese Volante" come viene interpretata da un orchestrina scadente alle sette del mattino davanti alla fontana di una stazione termale!

Fondamentale la sua attività come direttore del Festival musicale di Donauschingen nel 1924 dove, oltre a promuovere lavori di giovani compositori affiancò opere tratte dalla "nuova" corrente musicale di Schönberg e Webern (presenti di persona).

Un elemento davvero caratteristico dell'aspetto teoretico ed in seguito pratico di Hindemith fu il suo lavoro sulla Gebrauchsmusick, ovvero musica d'uso che 

dovrebbe essere fatta su misura, servire a un uso specifico, concedersi a una giocosa appropriazione, non rappresentare la personale espressione dell'artista né servire a esprimere "Weltanschauungen", per quanto nobili esse siano

ed inoltre su un tipo di musica che sperimentò collaborando inizialmente con Bertold Brecht e Kurt Weill nel radiodramma Der Lindberghflug in cui Hindemith compone una musica per dilettanti in cui, come scrivono gli autori del libro a cui ci si riferisce qui, 

la strumentazione era lasciata "aperta", la struttura, fissata soltanto in grandi linee, poteva essere, di volta in volta, adeguata alla possibilità rappresentative e, per giunta, era previsto il coinvolgimento del pubblico nella rappresentazione

Questo avvenne nelle Plöner Musiktag nel '32, dove nel Collegio-Liceo Musicale di Plön il compositore potè sperimentare forme compositive atte ad un massimo coinvolgimento del pubblico. Musica didattica come la Lehrstück sempre con Brecht.

Ed è qui una delle più importanti innovazioni estetiche di Hindemith. Il compositore si chiede quali siano stati i cambiamenti che hanno coinvolto non solo la musica ma il pubblico. In un epoca in cui la frattura tra musica contemporanea e pubblico iniziava ad espandersi prendendo la forma di "fossa delle Marianne" in seguito, soprattutto con lo sviluppo della musica dodecafonica e seriale. In questo Hindemith fu sempre molto chiaro, eseguendo le opere di Webern, Berg e Schönberg identificava elementi di altissimo valore artistico in questi autori mentre ne criticava aspramente altri che conducevano ad uno sterile ermetismo. In ciò i suoi scritti teorici sono illuminanti. Il Maestro scrive in maniera lucidissima:

Il problema che riguarda tutti noi è questo: il vecchio pubblico sta sparendo. Come e cosa dobbiamo scrivere per richiamare altri, più numerosi ascoltatori? Dove è questo pubblico?..Dobbiamo arrivare a modo diversi di fare musica e a un diverso piacere musicale. Più presto il concerto nella sua forma odierna morirà, più presto avremo la possibilità di rinnovare la vita musicale.

Questo, badate bene, è un problema attualissimo. Se pensiamo che solo nel 2019 Carlo Boccadoro pubblicava il suo breve saggio dal titolo esaustivo Analfabeti Sonori in cui le domande che ci si pone, a distanza di un secolo, sono pressoché identiche.

La vita di Hindemith procede così in moto ascendente, verso i più alti confini della musica. La sua abilità diviene sempre maggiore, in grado di comporre velocemente come nel caso della Trauermusik per la morte di re Giorgio, composta nel giro di poche ore; la sua conoscenza diviene sempre maggiore, i suoi studi sulla musica antica e la prassi esecutiva (il primo concerto di musica del trecento e del quattrocento tenuto da Hindemith si tenne a New Heaven nel 1945), gli studi teorici e didattici sono divenuti dei classici del pensiero musicale. Con coraggio affronta la censura nazista e la successiva emigrazione prima in Svizzera e poi negli Stati Uniti (la prima volta che visita Los Angeles la descrive come "un incubo"!).

Ma negli Stati Uniti ha inizio la sua portentosa attività didattica e di conferenziere. Qui scopre l'affascinante cultura mennonita degli "Amish" legati a lui dalla comune origine tedesca. Di loro apprezzava il rispetto delle tradizioni e lo stile di vita essenziale.

Accanto alla sua passione per la musica amatoriale (Hindemith era solito andare ad ascoltare i cori delle piccole chiese di Provincia) con il tempo inserisce nella sua produzione anche musica destinata ad un ristretto gruppo di esecutori che al tempo stesso sono anche fruitori, come nel caso, storicamente filologico, dei Madrigali a Cinque Voci su Testi di Josef  Weinheber del 1958. Ed infine la svolta al sacro, come nella collaborazione con Paul Claudel in Ite Angeli Veloces. E non si è parlato di Cardillac, di Mathis Der Maler o di Die Harmonie Der Welt. Ma come si diceva all'inizio del post la questione qui è un altra: mia sorella! 

Si, perché ieri, prima che arrivassi alla conclusione di questo piccolo scritto, le chiesi quale era l'opera per pianoforte di Hindemith che amava tanto, visto che non ne ricordavo il nome. Non parlai del fatto che stavo scrivendo anche su di lei ed ascoltammo (durante il pranzo) il brano in questione, ovvero In Einer Nacht "Träume und Erlebnisse". Il suo trasporto era ancora vivissimo e durante l'ascolto ne descriveva con emozione le qualità. 

Ora, dopo più di vent'anni, posso apprezzare maggiormente la musica di Paul Hindemith, ma non grazie alla storia della sua vita ma grazie alla mia di storia, a mia sorella che mi indica ancora dove scovare l'Armonia del Mondo, come il mio Keplero personale.


giovedì 19 novembre 2020

Morton Feldman

 Questopostnonècomeglialtrilosievincedasubitononusospazinepunteggiaturauntestoailimitidellaleggibilitàvoglioprenderemenospaziopossibileperlasciaretuttoallamusicadiquestocompositoredicuinontratteròlabiografiamasololapoeticaequestomusicistasichiama

m                                  o                            r                             t                            o                              n

    f                          e                           l                        d                   m                    a                        n


 lo spazio

il tempo

cosa sono           questi due        parametri        nella      musica      ?

ascoltare è tempo dedicato alla musica, a meno che non si tratti di ascolto distratto, ma qui non si chiede uno sforzo concettuale, se pure al primo approccio può sembrare musica concettuale, non affannarsi a cercare melodie, anche se c'è melodia ma non è evidente, non affannarsi a cercare un ritmo su cui battere il piede, anche se c'è ritmo ma non è un ballabile, non affannarsi a cercare un testo che mi parli d'amore, anche se c'è amore, molto amore, tutto l'amore che c'è, ed è amore per il tempo.

Il tempo nasce libero, la musica divide il tempo, noi viviamo un altro tempo quando ascoltiamo della musica, ma la musica imbriglia il tempo, non facciamo esperienza del tempo così com'è.

1

ascoltare

                                                         questo

                                                                                                    brano

                                                                                                                                         per   

                                                                                                                                                           50

                                                                                                                                                                  secondi

poi fermatevi......e ricominciate quando ne avete voglia








     ora
potete
continuare
a
seguirmi
abbiate cura
del vostro
tempo
è
solo
vostro
e
di 
nessun
altro
Feldman 
vi
regala 
questo tempo

e disegna per voi dei suoni sulla trama dilatata del tempo. immaginate di disegnare una figura su di un tessuto elastico. questo tessuto viene tirato da ogni lato. il disegno si deforma. diviene irriconoscibile ma voi sapete cosa rappresentava. solo voi l'avete visto prima che si deformasse. lo ricostruite con l'immaginazione. che è diversa dal pensiero. nessun concetto. solo fantasia. 


se la musica fosse pittura Feldman disegnerebbe con una piuma usando tono su tono
no serialismo
il respiro di questa musica 
è evidente
a tutti



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tempo
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il
tempo

venerdì 13 novembre 2020

Rotte Atlantiche 2°episodio - Musica in America del Sud


Ora arriva la parte difficile del viaggio. 

Questo è il secondo post dedicato alla musica nelle colonie americane, che fa seguito al breve excursus sulle origini della musica in America del Nord pubblicato in questo blog.

Si è parlato delle colonne d'Ercole, dei canti dei padri pellegrini, dei primi compositori americani di nascita e dello sviluppo del music business. Si è volutamente evitato di parlare della musica afro-americana, sia per motivi tecnici (un solo post non basta) sia per motivi teorici/tecnici. Si, perché personalmente credo che sia impresa ardua trattare quest'argomento. La musica di origine africana nel New England e in generale negli Stati Uniti fino al XVIII secolo sembra prevalentemente bianca, almeno così viene descritta in alcuni testi di storia della musica Americana. Sono convinto di non aver scavato abbastanza e so che in altre trattazioni ci saranno maggiori riferimenti a come la musica degli schiavi provenienti dall'Africa abbia influenzato la produzione musicale nelle prime colonie Inglesi. Ma c'è una differenza che salta agli occhi osservando, anche se superficialmente, lo sviluppo e la storia invece della musica nelle colonie spagnole e portoghesi nel centro America, nel sud e nei Caraibi: la totale "mescidazione" delle tre macro-culture che sono venute in contatto a partire dal 1492, ovvero quella europea, quella degli Indios e quella africana. 

Nel New England e negli Stati Uniti del 1776 questo non sembra essere avvenuto. Gli Indiani d'America, i "pellerossa" per usare un termine da cowboy, non hanno posto nelle storia della musica americana.  I primi studi sulla cultura Indiana risalgono al 1880 con Theodore Baker, poco prima nel 1794 James Hewitt utilizza un tema Indiano nella sua Tammany. Lo stesso vale per la musica africana almeno fino alla seconda meta del 18° secolo, ed è solo nel 1819 che troviamo una delle prime attestazioni di musica spiritual.

Totalmente diverso è lo scenario del Sud. I motivi possono essere così riassunti:

- i primi conquistadores sono spronati dai Reyes Catolicos, Isabella e Ferdinando, che finanziano i viaggi di Colombo, nella evangelizzazione e conversione degli Indios. La Chiesa stessa incentiva e a volte impone questa missione

- la musica viene da subito utilizzata a questo scopo e si sa che qui cantat bis orat

- sulle navi spagnole e portoghesi non ci sono famiglie in fuga che cercano fortuna ma uomini soldati che hanno appena trovato la fortuna. Delle 550 persone a bordo del galeone comandato da Hernan Cortés solo 9 sono donne. Molti dei vari esploratori europei ricreano a volte veri e propri "harem" di donne indigene, famosa è appunto la storia di Malintzin, detta "La Malincha", amante e traduttrice di Cortés.

- l'opera dei missionari prima Domenicani e Francescani, poi soprattutto Gesuiti (fino alla loro espulsione nel  1767) è volta a convertire gli Indios e successivamente ad emanciparli e delle volte a difenderli dagli stessi Spagnoli

Gli Spagnoli con la spada e l'archibugio, i missionari con la croce ed il canto, si uniscono da subito con le popolazioni del Nuovo Mondo. E ricordiamoci che i primi spagnoli in Messico e nei Caraibi provengono per 1/3 dall'Andalusia. Una regione arcaica che porta con se un cattolicesimo arcaico, fortemente "mediterraneo" se così si può definire. Il culto dei Santi nella Spagna del XV secolo risente ancora gli echi del politeismo antico e si fonde perfettamente con le divinità panteistiche degli Aztechi dei Maya e degli Inca. I nomi delle divinità indigene vengono così sostituite con i "nostri" Santi e sulla croce viene affisso il simbolo, per esempio, del Sole (da cui probabilmente derivava già una parte dell'iconografia cristologica, ma questa è un altra storia).

È risaputo che l'arrivo degli Europei nel Nuovo Mondo ha prodotto una vera e propria ecatombe di uomini, donne e bambini. Il primo Olocausto della Storia Europea. I conquistadores ed in generale la Corona Spagnola non ha mostrato in questo nessuna cristianità, o meglio ha piegato il messaggio del Vangelo ai propri scopi. I teologi si sono a lungo domandati, nelle loro sontuose Abbazie, se gli Indios avessero o no un anima e di conseguenza se non fosse inutile tentare di convertirli. Sarebbe stata fatica sprecata ed allora hanno pensato bene di considerarli essere inferiori, primitivi, indegni del regno dei cieli ma sicuramente degni degli inferi perché questo avvenne, fu ricreato l'inferno in terra. Uno dei protagonisti di questa vera bolgia (ma potremmo dire "Borgia") infernale fu Papa Alessandro VI. Nella bolla Inter Caetera egli afferma che bisogna convertire tutti gli Indios anche a costo di usare la violenza. Figuriamoci come poterono reagire non solo i conquistadores ma i soldati, i gendarmi, i mozzi a questa demoniaca "concessione". La strage fu leggittimata!


Nella stessa bolla inoltre il Papa getta le basi per quello che sarà uno dei trattati più curiosi della storia. Il Trattato di Tordesillas (sancito da Giulio II) in cui, in breve, la Spagna ed il Portogallo tracciarono una bella linea (raya) ad ovest di Capo Verde e dissero: "a sinistra è tutto mio (Spagna) e a destra è tutto tuo (Portogallo)", come quando una lunga partita a risiko finisce con gli ultimi due partecipanti che per pigrizia la tagliano corta e si spartiscono il mondo.


Concordo con il prof. Barbero quando dice che il motto "la storia la fanno i vincitori" sia una stupidaggine. Se dovessimo accettarla la nostra visone sui fatti verrebbe immediatamente inquinata da questo preconcetto.

Anche perché la realtà, in fine, è molto più interessante e molto meno condizionata dai nostri giudizi di valore. E quindi scopriamo che la maggior parte degli Indios non morì per mano dell'esercito Spagnolo e Portoghese. A causa loro, ma non per mano loro. 

Furono soprattutto le malattie che portarono sull'orlo dell'estinzione le popolazioni native del centro e sud America, ed in alcuni casi ci riuscirono, come in alcune isole dei Caraibi. E pensare che una delle cose che rendeva "arretrati" gli Indios agli occhi degli "evoluti" Europei fu l'assenza della ruota! Quella che per noi è il simbolo stesso dell'evoluzione umana (da uomo primitivo a uomo moderno) in quella parte del mondo semplicemente non c'era. Il motivo anche qui è semplice: non essendoci animali da soma e terreni adatti a certi tipi di colture il carro trainato non ha ragion d'essere. La cosa curiosa è che gli animali, e qui facciamo un salto alla più recente attualità, quando entrano nella catena alimentare dell'uomo possono generare anche delle pandemie! Così i nostri cari asinelli, buoi, mucche e cavalli ci hanno messo in contatto, nei secoli, con migliaia di virus ed infezioni a cui, ovviamente, dall'altra parte del mondo non hanno saputo trovare alcun rimedio. Sono scomparsi così gli imperi d'oro dei Maya, degli Aztechi e degli Inca, questi ultimi scomparsi per il 90% nel giro di una decade.

Aggiungiamo in fine che l'arrivo degli europei fu visto da alcune tribù addirittura provvidenziale! Senza entrare sulla spinosa questione dei segni divinatori interpretati da Moctezuma, sappiamo però che gli Aztechi avevano da non molto colonizzato a loro volta parte del centro america, a discapito dei gruppi meno resistenti che furono spesso trucidati e sacrificati a Huitzilopochtli. Quando i capi tribù videro che gli Spagnoli nelle loro luccicanti corazze ingaggiarono furiose battaglie contro gli spietati Aztechi non ci pensarono due volte prima di allearsi al fianco di questi "alieni" venuti dal cielo. Agli Spagnoli non sembrava vero e ci misero poco, dopo la vittoria, ad assoggettare i loro stessi alleati. 

Il potere sostenuto anche da eventi fortunati è sempre visto come "benedetto" dal Signore e quindi buono e giusto.

Lo so! Anche qui vi chiederete...ma la musica?? 

Vi chiedo scusa, è che queste storie sono troppo interessanti per essere tralasciate ed ad ogni modo c'è già molta musica in tutto ciò. Riprendiamo il concetto iniziale di mescidazione. Dopo queste considerazioni possiamo intuire quanto diversa sia stata la nascita della musica cosiddetta "latino-americana" rispetto a quella a noi più familiare musica "americana". I nativi ebbero una enorme influenza sulla società, l'arte e la musica coloniale di questo territorio. Si può parlare di "sincretismo musicale" quando vengono introdotti gli strumenti a corde europei, come liuti, rebeche, violini, arpe e chitarre (sconosciuti nel continente americano ma in seguito dominanti, ad esempio, nella forma del Charango), insieme alle percussioni e gli idiofoni (principalmente marimbe) di origine africana. Forme musicali europee vengono adottate nelle colonie (Villancicos, Romances, Guarachos, Tonadillas, e danze quali Passacaglie, Minuetti, Jotas, Malaguenas e perfino Tarantelle). Alcune danze nascono "sull'Oceano", di passaggio tra Americhe e Europa, una fra tutte la Ciaccona, di cui scrive Cervantes ne La illustre fregona:

Nel ballo della Ciaccona sta il segreto della vita bona

Vengono adottati i complessi strumentali di flauti e percussioni sui modelli della marina Inglese.

Alcuni elementi sono marchi di fabbrica di questo sincretismo. Ad esempio la sesquialtera, anche detta hemiola, è una figurazione ritmica che contrappone, o giustappone, il ritmo di 3/4 con il 6/8. Per farvi capire pensate al famoso motivo di "west side story" di Leonard Bernstein in cui vengono accentati in maniera apparentemente irregolare le parole scritte in neretto qui di seguito:

I like to be in A-me ri - ca     Okay by me in A-me - ri - ca

con una scansione che potremmo scrivere numericamente come: 

1  2    3                  1   2    3            1  2           1  2           1  2 

ritmo diffusissimo in latino-America, ad esempio nel Son Jaroche Messicano, nello Jaropo Venezuelano, nella Polca Paraguayana, nella Cueca Cilena, nella Zamba e Chacarera Argentina.

Questo ritmo vivace apparteneva alla musica soprattuto profana dell'Europa del XIV e XV secolo al quale si aggiunse nel Nuovo Mondo l'energica carica ritmica africana. Senegal, Guinea, Costa d'Avorio, Ghana, Togo, Benin e Nigeria sulla costa Ovest e Gabon, Congo e Angola nella parte centrale sono le zone maggiormente condizionate dalla tratta degli schiavi diretta in in America. Di conseguenza la musica latino americana è (ancora oggi) influenzata da elementi di chiara derivazione africana, ed è:

- Fortemente sincopata: oltre alla sesquialtera abbiamo altri procedimenti come la più famosa clave ed i tresillo e cinquillo

- Bipartita con finale aperto

- Costituita spesso da brevi frasi ripetute in call-and-response (chiamata e risposta)

- Caratterizzata dall'uso delle percussioni

Nelle colonie l'organizzazione sociale era strettamente strutturata secondo le encomiendas, un sistema sociale-politico ed economico complesso che dava a grandi linee diritti di usufrutto dei territori in base la ricavato produttivo, e Vicereami che comprendevano spazi geografici enormi:

Nuova Spagna comprendente Messico, Caraibi e parte della California. Nuova Granada con Colombia, Ecuador e Venezuela. La Plata con Bolivia, Paraguay, Uruguay e Argentina. Vicereame del Perù con Perù e Cile. 

Il Brasile era sotto il dominio dei Portoghesi. Le Cattedrali ovviamente erano centri organizzativi che scandivano e organizzavano la vita comunitaria delle prime colonie fino alla nascita delle grandi metropoli che noi tutti conosciamo. La prima fu Santa Maria la Menor in Repubblica Dominicana, fondata nel 1514. Poi venne Santiago in Cuba (1522) e a seguire le Cattedrali a Città del Messico, a Puebla, Lima, Sucre e altre. Ognuna di queste ebbe un suo sviluppo musicale precipuo che è impossibile sintetizzare qui ma tutte hanno in comune alcune caratteristiche musicali:

- Vi si studiava e praticava il Canto Gregoriano (nella forma e nei modi Spagnoli e ovviamente Italiani dell'epoca)

- Si scriveva ed eseguiva musica Polifonica strettamente derivata dall'"epoca d'oro" della polifonia europea ma con, alle volte, sostanziali differenze 

- Si cantava musica di stampo "italiano" con l'uso della policoralità e delle varie forme derivate dal melodramma barocco e da tutta la musica teatrale tra XVII e XX secolo

Detto ciò ascoltiamola questa musica!

Iniziamo con Hernando Franco (1532-1585), spagnolo, che per motivi di riduzione di salario si trovò nella necessità di trovare un altro impiego. Andò così a ricoprire il ruolo di Maestro di Cappella nella cattedrale di Santiago de Guatemala (dove anche qui subì una riduzione salariale!) ed in seguito a Città del Messico dove rimase fino alla morte. Il "Franco Codex" dove sono raccolte molte delle sue composizioni viene considerato come uno dei "monumenti" della musica americana. Ma è nel "Valdes Codex" che troviamo due Inni alla Vergine attribuiti a Franco ma che con buona probabilità sono stati composti da un allievo Indios di Franco che, come era in uso, prese il suo nome. Questi inni sono scritti in lingua Nahuatl, la lingua parlata dagli Aztechi!          

              

La musica, si diceva, fu uno degli strumenti più potenti per evangelizzare le popolazioni indigene ed il sincretismo musicale risultante fu onnipresente in tutto il territorio. Testimonianze già nella prima decade del 1500 descrivono la facilità con cui gli Indios imparano ad eseguire i canti liturgici anche in polifonia. Dopo la metà del XVI secolo troviamo in diverse colonie molti cori formati da nativi. A prendere parte a questi corsi sono solitamente degli Indios di livelli sociali elevati, spesso figli dei vecchi capi dei nativi, ormai deposti. Nel 1540 il francescano Francisco de Gand scrive direttamente a Carlo V:

L'esperienza ha mostrato quanto grandemente gli indiani siano edificati dalla polifonia, e come siano appassionati dalla musica in generale; in verità, i padri che lavorano direttamente con loro e che ne raccolgono le confessioni ci dicono come, più che dalle prediche, gli indiani proprio dalla musica vengano convertiti

Certo, come abbiamo visto, non fu tutto così pacifico. Basta riportare un aneddoto in cui ad un missionario spagnolo, dopo aver spiegato e decantato le meraviglie del regno dei cieli che ci attende oltre la vita, l'Indios da convertire chiede: "ci sono Spagnoli in paradiso?", alla riposta positiva del frate la secca replica: "allora non voglio andarci!"

Indios cantano Inni cattolici

In ciò il film "Mission", di Roland Joffè -1986, dipinge un quadro veritiero della vita all'interno delle missioni anche se edulcorata a fini di intrattenimento. In particolare l'immagine di Padre Gabriel che suona l'oboe fra gli indigeni Guaranì è volutamente simbolica ma si basa su dati storici. 

Un altro compositore particolarmente rilevante in questa fase è Gaspar Fernandez (1566-1629). Portoghese, è il primo autore senza dubbi di attribuzione del Nuovo Mondo. Scrisse musica in latino ed in lingua vernacolare. A quest'ultimo ambito appartiene il suo corpus di polifonia vernacolare che comprende 250 Villancicos. Il Villancico è una forma musicale spagnola e portoghese, praticata già nel '400, di cui fu maestro Juan del Encina. Composta da strofe (coplas) e ritornelli (estrebillio) inizialmente trattava temi popolari e di amor cortese (come la "frottola" e la "chanson"), in seguito fu sottoposta ad un travestimento spirituale, anche detta in maniera pittoresca "vuelta a lo divino" e finì ad assomigliare alla Lauda italiana. Con il tempo venne assorbito anche nella stessa pratica liturgica.

In America Latina il Villancico è, come in Europa, polifonico, ternario, con uso di strumenti di rinforzo, percussivo e con temi testuali ottimistici. A differenza dell'Europa vengono praticate variazioni che prendono in prestito elementi musicali Indigeni, come i Villancicos de l'Indios, in lingua Nahuatl o Quetchua, ed elementi Africani, che tentano di imitare i dialetti e le musiche degli schiavi, come i Villancicos Guineo.

È questo il caso del brano di Fernandez Eso Rigor e' Repente il cui testo recita:

Sicuramente vi giuro che, sebbene il bambinello sia nato un pò bianco, siamo noi, tutti, i suoi fratelli. E anche se noi non siamo molto bianchi, suona il tamburello caro negro, canta fratello! [...] Suoniamo una Sarabanda, la più veloce e chiassosa! Questa notte anche noi saremo bianchi, e allora quanto rideremo!

            

Oltre al testo in cui gli schiavi vengono identificati con Gesù Bambino (anche qui viene in mente Lucio Dalla, come nel primo post!) non vi sembra particolarmente curioso che un portoghese alla fine del '500 sia così disinvolto nel mescolare alla musica appresa in patria andamenti e sentori ritmici e melodici così esotici? Vi assicuro che non era cosa comune. Il Villancico polifonico raggiunse il suo apice in Messico durante il periodo in cui operò Juan Gutierrez de Padilla il quale utilizzo i testi della famosa poetessa Sor Juana Ines de la Cruz, in cui vengono imitati i dialetti africani, come nel caso di A Siolo Flasiquiyo che segue la forma di el canario, in riferimento all'importanza delle Isole Canarie nella tratta degli schiavi nel 17° e 18° secolo. 

                 

Siamo a solo un secolo delle scoperta dell'America e la musica ha già assorbito elementi nuovissimi e si è spinta oltre i propri confini strutturali comunemente accettai. In questo brano tutti gli elementi compositivi possono essere ricondotti a tecniche "tradizionali"che però vengono esaltati e svincolati da usi rigorosi (per quanto un brano profano possa essere "rigoroso").  Un altro brano come Xicochi Conentzintle sempre di Gaspar Fernandes utilizza sempre la lingua Nahuatl per cantare in questo caso una bambina, e questa versione con cori di voci bianche credo renda bene la modalità esecutiva dell'epoca.
              
In lingua Quechua è invece l'inno anonimo Hanacpachap Cussicuinin che risulta essere il primo brano polifonico stampato nel nuovo mondo, composto prima del 1622.

In seguito iniziò a proliferare l'opera di numerosi musicisti nel centro e sud America che svilupparono un linguaggio in parte derivato dagli stilemi europei, soprattutto derivati da modelli "classici" in cui vengono fusi elementi autonomi come nel caso della "scuola andina" con Juan de Araujo che fu uno degli ultimi a comporre Villancicos in stile vernacolare.


O come nell'anonimo Sa qui turu zente pleta appartenente al manoscritto di Santa Cruz di Coimbra, in Portogallo, quindi non più nelle Americhe. Questa musica "sincretica" ha fatto ritorno in patria ed ha portato con se questo nuovo idioma mestizos.


Ed ecco arrivare gli onnipresenti italiani, il primo a ricoprire la carica di maestro di cappella fu Ignacio Jerusalem a Città del Messico nel 1749, anche se già nel 1717 operava in Argentina Domenico Zipoli, un personaggio molto particolare che si unì ad una compagnia di gesuiti in Spagna per portare il messaggio del vangelo, in forma "musicale", nel nuovo mondo. Scrisse addirittura un opera sul fondatore del movimento, Sant'Ignacio di Loyola, rinomato per i suoi "esercizi spirituali". In quest'opera parzialmente ricostruita Sant'Ignacio canta con voce da controtenore, come era in uso nel 18° secolo in mancanza di castrati, che comunque furono presenti, seppur in numero esiguo, anche nel Nuovo Mondo. Vi suggerisco questo passaggio in cui il Santo duetta con un angelo in moto tanto armonioso quanto, come dire, spaesante.


             
Non posso non far riferimento in questa breve sintesi della musica post-coloniale alla musica in Brasile ed al fenomeno del "mulattismo musicale". 
Sappiamo che una città come Bahia fu uno dei maggiori centri della tratta degli schiavi in Sud America, di conseguenza iniziarono ad operare numerosi musicisti neri. Luis Alvares Pinto, un mulatto, un pardo, inteso come persona di origine africane ed europee o africane e indigene, scrisse anche un trattato (Arte de Solfejar- 1761) che divenne il primo testo di questo genere scritto da un nativo del Nuovo Mondo. 
Mentre nel Nord America (vi ricordate il Reverendo Thomas Walter nel 1721?) erano esclusivamente bianchi (inglesi) a scrivere trattati e manuali, in Brasile abbiamo un mulatto. Il termine mulatto ha origini dispregiative, in un certo senso, perché fa riferimento al mulo, incrocio tra asino e cavallo, ma se vogliamo potremmo pensarlo come il simbolo della mescidazione, del sincretismo, del "mescolone" a cui tutti noi apparteniamo oggi e non faccio fatica ad immaginarci tutti dei muli, testardi e bastonati, caparbi ma frustrati, ma - usando un termine che poco mi sta a genio - "resilienti".
 

Poi avvenne l'incredibile evento di Minais Gerais, uno stato nel sud-est del Brasile dove vennero trovati enormi giacimenti di oro, argento e pietre preziose. Fino ad allora la musica in queste zone non aveva avuto lo stesso sviluppo del centro America, possiamo dire che era quasi assente. Ma dopo queste scoperte ci fù addirittura una legge emanata dal Re del Portogallo in cui si tentò di limitare l'emigrazione in massa che rischiò di spopolare il Portogallo. Un pò come la conquista del West ma in maniera molto più "mediterranea".
Quando si seppe di questi giacimenti migliaia di persone, europei, indios e soprattuto schiavi o ex-schiavi confluirono in queste regioni. La musica ovviamente ne giovò profondamente. Qui i musicisti furono anche liberi dal controllo della Chiesa e poterono fondarsi in Irmandade, fratellanze o corporazioni di musicisti che gestivano e ridistribuivano gli ingaggi e le commissioni musicali per feste ed eventi celebrativi di ogni sorta. Ah! Che luogo sarà stato! Musicisti e pubblico mescolati agli inizi di quello che sarà poi uno dei luoghi più complessi al mondo, con le musiche più incredibili del mondo, ed io credo che se c'è una musica a cui non si può opporre resistenza questa è proprio la musica brasiliana. 
Ci fu addirittura un movimento chiamato Arcadia Ultramarina! Vi rendete conto? L'Arcadia! Il fenomeno culturale più stravagante ed onirico della storia europea aveva una sua controparte dall'altra parte del mondo a ridosso della foresta amazzonica. Werner Herzog in Fitzcarraldo ha solo sfiorato con la fantasia quella che fu la realtà dei fatti. 
Ed arriviamo cosi a Rio de Janeiro, alla modinha, un tipo di canzone d'amore simile alla romanza francese, che ha carattere sillabico, sincopato e si canta in duo. Il ritmo è scandito sulla figura di semicroma-croma-semicroma, che si relaziona con la danza afro-brasiliana detta lundu, il quale a sua volta aprirà ala strada al samba!
E non si è parlato della Colombia, della Bolivia, della Jamaica, del Perù!

Abbiamo solo iniziato. 

Ed io qui finisco. 

Con una ninna nanna. Vi do la buona notte perché il viaggio è stato lungo e faticoso, ricomincerà, ma non ora, il vento non si ferma, le navi salperanno. Le vele issate si gonfieranno come polmoni prima di raccontare una lunga, lunghissima storia, come quei flauti andini che richiedono i polmoni di chi vive  in alta quota in assenza di ossigeno. 
I canti in spagnolo, i flauti indios e le percussioni africane del conjunto de gaitas, sottocoperta, nel lungo viaggio, non possono far altro che unirsi, anche se parlano lingue musicali diverse. Davanti alla paura del naufragio siamo tutti uguali, tutti fratelli e sorelle. 
Una volta scesi a terra torneremo ad ignorarci ma il viaggio dobbiamo farlo insieme, per cui leviamo le ancore che a terra ci siamo stati abbastanza! 

Svegliati negrito!

martedì 27 ottobre 2020

Rotte Atlantiche 1°episodio - Musica in America del Nord

 

Plus Ultra

Questo post ed il prossimo sono la "trascrizione" sommaria dei miei due interventi in occasione del Festival "Medintorpigna" svoltosi tra il 16 ed il 18 e tra il 23 ed il 25 Ottobre 2020 al parco Sangalli nel quartiere di Torpignattara a Roma. Agli organizzatori, nella persona di Laurent Andreoli, va il mio ringraziamento per avermi "gettato" in questo Oceano di musiche, ringrazio tutta la sua famiglia ed i collaboratori  - Flor, Marcello, Hector, Arthur, Valentina e il Brigante - per il supporto e la fiducia dimostratami

Questa è una storia oceanica. Ne conosciamo le sponde ma non sappiamo da dove giungono i flutti di questo vasto mare. Arriva alle caviglie ma non osiamo tuffarci, la risacca è troppo forte. Ma lo osserviamo e ne ascoltiamo il canto, ogni giorno. Sembra parlarci, sotto il fragore delle onde si sente una voce che racconta una storia, ininterrottamente. Io ho provato ad ascoltarla, ho provato anche a raccontarla a mia volta.

L'Atlantico.

Il mare ignoto degli antichi. Il limite della nostra civiltà. Ad Oriente sì, si può andare. Ad Occidente c'è l'Oceano. Le colonne d'Ercole sono poste su questo limite con un monito: "non plus ultra". È un limite fisico e mentale. Se il tuo corpo riuscisse a sopportare questo viaggio utopico la tua mente ne rimarrebbe sconvolta. E allora voltati e torna indietro.

Ma nel momento stesso in cui viene proclamato un divieto nell'uomo si insinua il tarlo della curiosità. E allora Odisseo inizia il viaggio, e con lui i marinai cantati in "Itaca" di Lucio Dalla: "se ci fosse ancora mondo...sono pronto, dove andiamo?". E allora ecco il motto di Carlo V: "plus ultra". Si può andare oltre. Si è andati oltre con Cristoforo Colombo, il limite invalicabile è stato valicato.

Ho sempre temuto il viaggio senza meta. Imbarcarmi all'avventura mi ha sempre spaventato. Mi sento più a mio agio nell'immaginare questi viaggi. Leggo e immagino, questo e tutto. Questa volta ho letto molte storie che riguardano il viaggio della musica su questo oceano, l'Atlantico, che mi hanno portato lontano ed in molti luoghi, sul Mayflower, a Tenochtitlàn e nel convento di Ephrata, a Guanahani e sul molo del porto di Goree, nelle sale da ballo di Rio de Janeiro ad ascoltare Chiquinha Gonzaga o nelle strade di San Francisco de Yare mascherato da diablo danzante. Poi mi sono perso..e mi sono ritrovato in una peña con mia madre a Buenos Aires.

E quanto ancora c'è da scoprire? Cercherò qui di esprimere in modo sintetico quegli eventi, quei personaggi, quelle musiche che mi hanno colpito maggiormente e articolerò il post in due "capitoli":

1 - LA MUSICA NELLE COLONIE DEL NORD AMERICA (New England)

2 - LA MUSICA NELLE COLONIE LATINO AMERICANE E NEI CARAIBI

Non sarà un viaggio cronologico né un viaggio storico ma di impressioni, meraviglie, scoperte, paure, pericoli e avventatezze.

Partiamo quindi dal Nord, da Francis Drake in California nel 1579 e dall'isola di Roanoke, chiamata la "lost colony" dove nacque la prima bambina figlia di coloni. Nel 1607 siamo a Jamestown con John Smith e Pocahontas in Virginia (dalla Regina "Vergine" Elisabetta d'Inghilterra). Un "forte" assediato e abbandonato. La compagnia delle Indie Inglesi aveva tentato più volte di stabilire una rotta commerciale nel Nuovo Mondo. Con ampio ritardo rispetto all'ormai consolidato impero Spagnolo. 

Tutto inizia, secondo la narrazione nazionalistica degli Stati Uniti, dal New England. I puritani. Elisabetta I. La fuga verso terre sconosciute dove poter vivere senza persecuzioni. Uno sparuto gruppo di uomini e donne  che sul Mayflower, esattamente 400 anni fa, attraccò a Cape Cod facendo subito riecheggiare Inni e Salmi in lode di Dio Onnipotente.

Si cantava a memoria basandosi su testi come quello redatto da Henry Ainsworth o lo Sternhold and Hopkins, oppure come il famoso Bay Psalm Book, primo libro stampato in assoluto in America del Nord (1638), di cui l'unica copia a noi arrivata è stata venduta nel 2013 per la somma esorbitante di 14.165.000 $...e pensare che si tratta di un testo senza musica stampata, fatta eccezione per alcune pagine.

Chi ne doveva far uso aveva in mente già diverse musiche armonizzate a quattro voci (abbastanza elementari a dir la verità) adattabili facilmente ai servizi religiosi calendarizzati. Questa facilità sarà il segno premonitore del forte pragmatismo artistico che distingue l'approccio americano all'arte: la musica se non è corretta o se è monotona non fa niente, l'importante e poter cantare la propria fede in libertà, lontani dalle restrizioni cultuali della madre patria, dove da poco si era imposta la chiesa Anglicana che voleva fare piazza pulita di tutte quelle eresie che potevano intralciare lo sviluppo "spirituale" del futuro Impero Britannico. L'Impero che a breve diverrà il più esteso e potente di tutti i tempi. Che di spirituale aveva ben poco.

Got it?

E poi America land of freedom: nel 1681 William Penn ed i suoi Quakers (Quaccheri) fonda la Pennsylvania (i boschi di Penn) e l'anno dopo Philadelphia, la città dell'amore fraterno, dove viene proclamata la libertà di culto religioso. Quaccheri, Mennoniti, Pietisti Tedeschi, esuli Svedesi vi si trasferiscono in massa.

William Penn

Anche questa è una caratteristica degli Stati Uniti, ha nella sua storia radicato il concetto di libertà, concetto che spesso però viene a mancare, soprattutto per quei milioni di schiavi che l'hanno portato in forma solida in corteo sulla schiena. Ma comunque quel concetto, quell'idea c'è. 

In Pennsylvania dovevano risuonare dei canti assai curiosi. Con la tecnica del Lining Out l'officiante, detto "Precentor", cantava un tema e la congregazione ripeteva in massa. Con il tempo questo fenomeno iniziò a degenerare. Pare che le modalità di esecuzione fossero spesso di scarsa qualità e con ampio margine di interpretazione da parte dei partecipanti, tant'è che nel 1721 il Reverendo Thomas Walter scriveva nel suo "Fondamenti e regole della musica spiegati, ovvero l'Introduzione all'arte di cantare con le note":

Le melodie erano miserevolmente torturate e massacrate e finivano, in alcune chiese, in un orrida cacofonia di rumori confusi e discordanti. Molto spesso si perdeva in <tremolii> e svolazzi canori, ma non c'erano nemmeno due cantori della congregazione che <tremolassero> insieme e nello stesso modo: cosa che doveva suonare alle orecchie di Dio Giudice come cinquecento differenti melodie urlate tutte nel medesimo tempo

Ben arrivata, Musica! 

Ma il nuovo uomo non si cura di queste finezze e già nel 1731 a Boston si svolgeva il primo concerto pubblico della storia dell'America del Nord...e poco ci mancava che non fosse stato il primo concerto pubblico della storia in assoluto perché di poco preceduto dai concerti londinesi e dai Concert Spirituel Parigini. Insomma gli Americani sono subito per l'entertainment.

Troviamo in questo contesto le storie di personaggi come Johan Conrad Beissel ad Ephrata che con i suoi redemptioners tedeschi fonda la sua città e educa i suoi compagni in tutte le discipline, senza avere le necessarie nozioni, ma intanto lo fa! Il grande pragmatismo americano sta nascendo! Stessa storia a Bethlehem, città fondata e nominata, in modo vagamente ambizioso, dai Moraviani capeggiati dal conte von Zinzerdorf. La città divenne un importante centro musicale. Qui venivano eseguite opere di Bach, Abel, Haydn, Mozart e nel 1770 fa la sua comparsa sulle scene il Messiah di Haendel, il quale venne udito prima dai futuri Americani che nella terra natia del compositore sassone! 

Poi abbiamo William Billings, un altro padre della musica americana che però non faceva "di mestiere" il musicista, era bensì un conciatore; si unì così alla folta schiera di fabbricanti di pettini, avvocati, cappellai, carpentieri che nel tempo libero si dedicavano all'arte dei suoni, a volte anche con un pò di vergogna; e come biasimarli se lo stesso Benjamin Franklin scriveva nel 1793:

Per l'America un maestro di scuola vale più di una dozzina di poeti, la invenzione di una macchina o il perfezionamento di un utensile sono più importanti di un capolavoro di Raffaello...Niente è buono e bello se non nella misura in cui è utile.

Ed è Franklin che sta parlando, il quale si distinse, oltre che per le sue attività politiche, scientifiche, sportive e financo alimentari (fu uno dei primi difensori del vegetarianismo) anche per essere uno dei primi esecutori e perfezionatori della Glass Harmonica, uno strumento tanto bizzarro quanto affascinante (Mozart, Beethoven, Donizetti scrissero brani per questo strumento). 

Benjamin Franklin suona la Glass Harmonica
La forte richiesta di semplificazione e diffusione del nuovo modo di fare e pensare la musica coinvolge anche la notazione musicale. Venne inserito il sistema chiamato "FaSolLa", dove ai troppo complessi nomi delle note(!) vengono sostituite solo tre note, appunto, Fa-Sol-La; quindi la scala diatonica da DO-RE-MI-FA-SOL-LA-SI divenne FA-SOL-LA-FA-SOL-LA-MI mantenendo gli stessi rapporti intervallari di Toni e Semitoni.
Inoltre venne cambiata la forma grafica delle note utilizzando Quadrati, Cerchi e Triangoli al posto delle troppo complesse (!!) teste delle note.

                                 

Anche il pentagramma risultò troppo difficile da utilizzare (!!!) e venne semplicemente abolito. Il risultato è questo..

In realtà tutto ciò mi fa pensare alle importanti metodologie di didattica e pedagogia musicale utilizzate al giorno d'oggi negli Stati Uniti. Non posso non pensare che questi tentativi, magari rudimentali, di semplificazione della grammatica musicale siano una caratteristica importante che ha reso la musica targata USA particolarmente adatta alla contemporaneità.

Il percorso della musica nel New England riceve un brusco rallentamento a ridosso dell'evento più importante della storia Americana: la Guerra di Indipendenza. Dal 1775 al 1778 si ascolteranno sul suolo Americano soprattutto marce e canti militari. Una fra tutte si distingue per la sua notorietà e curiosità: Yankee Doodle. Questo brano era straordinariamente cantato inizialmente non dai coloni e futuri americani ma bensì dagli Inglesi! I primi quattro versi del testo recitano: 

Yankee Doodle went to town/A-riding on a pony/Stuck a feather in his cap/And called it macaroni

Lo "yankee" è appunto l'Americano, in particolare ci si riferisce a quei soldati di umili origini coinvolti nel conflitto. "Doodle" è uno stupido, un tonto di scarse capacità mentali che cavalca un pony, badate bene, non un cavallo! Ha una piuma sul berretto e lo si chiama "macaroni". Con questa frase invece si fa riferimento al fatto che l'Americano agli occhi degli Inglesi ostenta una eleganza che dovrebbe collocarlo nell'alta società da cui invece è escluso non avendo il retaggio culturale europeo. Egli quindi si atteggia e si veste come un uomo alla moda, al passo coi tempi, raffinato, a la page (praticamente un Hipster!), ma che evidentemente non riesce a tradire le sue origini umili, contadine e bifolche. "Macaroni" in particolare è un riferimento alla moda portata in Gran Bretagna di usi alimentari presi in prestito dalla nostra bella e sugosa Italia, già allora vista come patria dei "mangia pasta"!

Ma la cosa veramente strana è che dopo le prime vittorie riportate da parte dell'esercito Yankee la canzone fu riutilizzata e "rimbalzata" verso gli inglesi dagli stessi americani che ne erano l'oggetto di derisione. In un gesto di riappropriazione satirica tanto curioso quanto efficace l'esercito Americano canterà Yankee Doodle d'ora in avanti come un canto patriottico. Il testo non subì modifiche ma venne "rispedito al mittente" e visti gli esiti della guerra pare funzionò lodevolmente al suo scopo. 
Dopo il 1776 la musica riprende il proprio percorso e direi la sua impennata. Nel 1800 il Great Revival, il grande risveglio spirituale e religioso, genera un esplosione di canti religiosi diffusi su tutto il territorio nazionale. Più di 500 Inni circolano nella giovane America. Mentre in ambito profano sale da concerto vengono aperte in diverse città, e nel 1825 viene rappresentata a New York la prima opera lirica della storia americana la quale non poteva che essere Il Barbiere di Siviglia. La "prima" del capolavoro rossiniano si era tenuta nel 1816 a Roma, non molti anni prima; la musica americana sta riprendendo terreno rispetto alla tanto bramata musica colta europea. 
Questa dipendenza o sudditanza o senso di inferiorità musicale è un altra caratteristica di buona parte della musica americana del passato. Una corsa continua all'emulazione degli stilemi musicali europei, ma soprattutto tedeschi ed italiani, si avvia a partire dal 18° secolo. Si potrebbe al riguardo confrontare la vita e la musica di due compositori esattamente contemporanei, uno e James Hewitt, nato il 1770 e morto il 1827. L'altro...non ve lo dico ma egli è forse il simbolo stesso della composizione musicale nella tradizione classica europea e direi mondiale (un aiutino: scapigliato, butterato, non particolarmente bello, burbero...e sordo). Provate ad ascoltare un brano dell'uno e dell'altro e fatevi un idea.
Nello stesso 1825, nella stessa New York, troviamo invece un curioso negoziante, che insegna anche letteratura italiana al Columbia College. Un italiano che ha la passione per il teatro e che pare fosse in buoni rapporti con Mozart. 
Lorenzo Da Ponte

L'Europa si fa sempre più vicina e l'Atlantico sempre più piccolo.
Si diffondono inoltre svariate canzoni e canzonette su temi di attualità come l'inaugurazione di una linea ferroviaria, sui i primi tram a cavallo, sull'abolizione della schiavitù e l'uso (o abuso) di alcolici (pro e contro). E qui possiamo identificare la "vena d'oro" di quella che sarà la musica folk, country, pop degli Stati Uniti che ha creato coesione, identità e appartenenza culturale in tutto il paese. L'Europa inizia a guardare oltre oceano con altri interessi. Tra il 1820 ed 1840 svariate famiglie di origine Bavarese, Austriaca o Svizzera vengono attirate dal nuovo mercato musicale che si stava sviluppando dall'altra parte dell'Atlantico. La Rainer Family a Boston canta brani di ogni genere: sentimentale, tragico, comico, realistico. Parlano al popolo con il linguaggio del popolo (magari con un vago accento tedesco).

La Hutchinson Family riscuote un enorme successo e affronta temi sociali come emancipazione e la libertà per i meno fortunati (gli schiavi).
Hutchinson Family

La Trapp Family diffonde negli StatiUniti la musica Folk germanica e la musica sacra. Questo spiega come mai possiamo trovare nella prima musica country l'utliizzo della tecnica vocale detta yodel presa in prestito proprio da queste famiglie "canterine".
Sempre nel 1820 (quante cose in così poco tempo) appare nei teatri di provincia, nelle sale da concerto e nelle strade dei piccoli villaggi americani uno dei fenomeni socio-culturali più interessanti del 19° secolo.
Il Ministrel Show
Un teatro che potremmo chiamare di varietà dove si alternavano scene recitate, comiche o sentimentali o liriche, a canzoni e brani da ballo fra i più diffusi e in voga del momento, anch'essi con temi di attualità ma più spesso satirici e buffoneschi. E chi erano l'oggetto principale di queste farse in musica? La popolazione di colore! Nelle due figure principali del negro cencioso del sud chiamato spesso "Jimmi Crow" e del negro del nord che imita i modi dei bianchi, il "long tail blue" che si spaccia per dandy di rango troviamo espressi i due poli opposti del razzismo che tuttora affligge la popolazione Afro-America. Se non sei integrato nella società è perché sei povero e non ti sei realizzato nella vita. Se ti sei integrato è perché hai tradito le tue origini e ti sei finto ciò che non sei, un bianco!
   
                                        


Ad interpretare questi personaggi ci sono i neri? Assolutamente no, che scandalo sarebbe! Allora gli attori si tingono la faccia di nero, disegnano delle grandi labbra bianche e assumono pose ridicolizzanti per immedesimarsi con il personaggio (un pò come nel vecchio spot televisivo anni '80 delle liquirizie!). Ne imitano le movenze, la camminata, la parlata, l'accento e caricano pesantemente ogni difetto per strappare una risata agli spettatori. Ma lo sberleffo, la caricatura, il ridicolo ha una forza che investe non solo la persona o la situazione derisa. Come nel caso di Yankee Doodle. Nel Ministrel Show osserviamo un importante fenomeno sociale che diverrà in seguito preminente in tutta l'industria e la diffusione della musica non solo americana. Lo si potrebbe chiamare "sbiancamento musicale". 
Senza evitare scabrosi fraintendimenti si potrebbe definire questo fenomeno come l'appropriazione di musiche e danze di origine "nera", nello specifico degli schiavi che ormai da secoli sono stati forzatamente trapiantati in nord America, da parte dei bianchi e soprattutto del futuro show business che tanto influenzerà l'economia statunitense. In maniera brutale: il bianco si appropria della musica del nero e la commercializza tramite artisti ed interpreti bianchi. 
(Esempi: Benny Goodman "sbianca" il Jazz; Elvis "sbianca" il rock and roll; Gli Abba "sbiancano" la musica Funky; Michael Jackson è la sintesi finale, "sbianca" se stesso, e diviene un Ministrel al negativo) 

La spinta ritmica e melodica della musica cresciuta e sviluppata all'interno delle comunità dei lavoratori neri, schiavizzati dallo strapotere americano, viene "emancipata", viene anche diffusa ed accetta e diviene veicolo di emancipazione ma viene anche valutata e venduta, e chi possiede il controllo del flusso economico in America? Esclusivamente i bianchi. È vero che un musicista di colore come Newport Gardner (n.1746-m.1826) si guadagna la libertà e riesce a diventare forse il primo insegnate di musica nero della storia, ma rimarrà un caso più che sporadico. Il Ministrel Show inserendo stili "negri" nelle canzoni scritte dai bianchi apre la porta ad influenze ritmiche, melodiche e coreografiche direttamente derivate dalla musica nera.
Questo meccanismo economico rudimentale non coinvolge solo la musica e la sotto cultura afro-americana ma comprende anche quegli strati sociali meno abbienti, quella fascia di popolazione di origine rurale e periferica che inizia a popolare soprattutto il sud degli Stati Uniti. Il simbolo di questo "tipo" di americani potrebbe essere a mio avviso Stephen Foster.
Foster cresce in un piccolo paese, Lawrenceville, Pennsylvania. Qui non subisce le influenze della cultura esterna, quella che circola fra le grandi città. Qui si ascoltano solo spirituals, cantanti girovaghi e divertenti Ministrel Show. La passione per la musica c'è ma viene subito tenuta a bada! Bisogna trovarsi un lavoro. Un impiego come contabile andrà benissimo. Però a casa gli resta questa voglia un po infantile ed incomincia a scriver canzoni. Per caso un giorno incontra un editore, un certo W.C. Peters, il quale con grande, grandissima, diciamo anche spudorata fortuna si interessa alle canzonette scritte nel tempo libero dal mite Stephen, il quale, essendo appunto estremamente mite (e sprovveduto) regala una canzonetta al gentile signor Peters per ringraziarlo delle sue attenzioni. Il brano è dedicato ad una bella ragazza "vocata" nel titolo stesso della canzone: 
Oh! Susanna
Siamo nel 2020..e la cantano i bambini..di tutto il mondo! 
Non fu l'unica canzone ceduta da Foster: "Old Folk at Home", un altro grande successo, viene svenduta ai Christy Ministrels per pochi dollari. Ee.. ma ora non lo freghi più il vecchio Stephen, ora ha capito come si fa, "vuoi le mie canzoni? Tira fuori i soldi..10 dollari ed è tua! Per sempre...come dici? Non vuoi che risulti il mio nome come autore della canzone? Ok! Fuori i soldi...15 dollari ed il mio nome scompare!". Ora si che si ragiona. Ma le vendite non sembrano ingranare. 10 dollari nel 1850 erano una somma discreta ma quanto ci si poteva campare? A quanto pare poco se nel 1864 il 42enne Stephen fu ritrovato in una triste stamberga a terra privo di vita, con pochi spiccioli in tasca ed una lettera sgualcita e abbozzata in qui si legge l'incipit di quella che sembra una richiesta di aiuto:
 Cari amici e cuori gentili..
Poi più niente. Fino al 1940 in cui divenne il primo musicista eletto nella Hall of Fame di New York divenendo ufficialmente il Padre della musica americana. I padri sanno sempre sacrificarsi per i propri figli. E così la prossima volta che canticchieremo "Oh! Susanna" penseremo per un attimo anche a lui.

E così arriviamo al 1848, la conquista del West, la corsa all'oro. L'aumento di ricchezza ingrassa gli ingranaggi e facilita gli ingaggi nel music business. Grandi virtuosi affluiscono dall'Europa per suonare in America; la cantante d'opera Jenny Lind incassa in pochi anni (e tanti concerti) 350.000 dollari grazie all'impresario P. T. Barnum, una cifra stratosferica persino oggi!

Ormai la musica negli Stati Uniti viene ben retribuita. Louis Moreau Gottschalk, nato a New Orleans nel 1829 da padre Tedesco e madre Spagnola di nobili origini, diviene il primo pianista americano adorato da folle di gentili signore al pari di Franz Liszt. A 13 anni è a Parigi, non viene ammesso al Conservatorio ma viene notato da Chopin e Berlioz. Torna in patria e compone brani come bamboula, ispirandosi a temi creoli e danze africane, banjo, dal titolo esaustivo, jota aragonese, ricongiungendosi all'eredità culturale materna. Il suo successo esplode sino a Buenos Aires (dove, appunto, l'ormai venerato musicista ebbe un infarto)
La musica "colta", "classica" e "upper-class" ha il suo paladino anche negli Stati Uniti.
A questo punto mi si chiederà: ma i canti di lavoro nelle piantagioni? Gli spiritual? Il blues? Il jazz?
Nella mia ricerca ho limitato lo studio proprio nel momento in cui queste musiche apparivano sulla scena. Lo scenario che si apre ora in avanti è veramente troppo vasto e sfaccettato per essere sintetizzato in un post di un piccolo blog autogestito come il mio. La narrazione a cui ho fatto riferimento è volutamente "idealizzata" e cerca di raccontare quello di cui si può più facilmente parlare, ovvero la musica in America fatta dagli americani, i discendenti dei primi coloni, di quelli che hanno fondato città, che hanno vinto la guerra contro gli Inglesi, che hanno creato unità nazionale dopo la guerra civile. È la storia che si racconta nelle scuole americane. Ma tutti questi aneddoti curiosi, queste storielle affascinanti non possono realmente parlare di cos'è stata la musica in quel periodo e di cosa è diventata tra il 19° ed il 20° secolo. 
Se guardiamo le statistiche pare che solo il 4% di tutta la tratta degli schiavi dall'Africa tra il 1619, con l'arrivo delle prime navi "negriere" in Virginia, fino al 1863, anno (formale) dell'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, dicevamo, solo il 4% di quei 20 milioni di uomini, ed in minor numero di donne e bambini, fu destinato al territorio dell'America del Nord e alle relative colonie. Cionostante gli uomini di cultura Bambara provenienti dall'impero del mali e le donne Wolof prima, seguite dalle etnie Bantu del Kongo-Angola hanno creato il substrato di tutta la storia della musica americana. Come loro la musica è stata catturata, imprigionata, deportata, costretta al silenzio. Ma tragicamente è sopravvissuta più di quei corpi che la danzavano e di quelle gole che la cantavano. 
La resistenza della musica in questa fase unica della storia ha un che di prodigioso, è il vero miracolo dell'epoca moderna. Attraverso i canti di lavoro, attraverso i ring shout, i patting juba, attraverso i canti disperati che invocano la morte, la musica ha tenuto letteralmente in vita migliaia di uomini e donne. 
Per questo non ci sono ascolti musicali in questo post...finora.
Qui di seguito troverete un link che vi rimanderà ad una cartella con degli ascolti di musica tradizionale africana. Un omaggio personale a chi ha portato sulle spalle quella famosa "libertà" resa solida e pesante dagli schiavisti che hanno trasformato il simbolo delle colonne d'Ercole nel simbolo del dollaro..